PER UN PELO!

di Alessia MARIACHER, Luisa GAROFALO

Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana

Il pelo animale (incluso ovviamente quello umano, si tratti di capelli o peli del corpo) è composto di cheratina e di cellule corneificate: la forza di tali elementi consiste nel fatto che non si decompongono facilmente, e per questo motivo il pelo è un substrato ideale per analisi condotte anche su campioni non recenti o variamente trattati e conservati. Ma vediamo più nel dettaglio com’è costituita la struttura del pelo, per esplorare poi i possibili impieghi delle analisi del pelo.

 

Caratteristiche morfologiche del pelo

Figura 1: Struttura stratificata del fusto del pelo, paragonata agli strati che costituiscono una matita. Tratto da: Bertino, 2012.

Il fusto del pelo è costituito da tre strati (Figura 1), che dall’esterno verso l’interno sono: la cuticola, la corticale, e la midollare. La cuticola è lo strato più esterno del fusto, costituito da scaglie di cheratina trasparenti e sovrapposte che hanno la funzione di proteggere gli strati più interni del pelo.

Le scaglie sono orientate dalla base verso la punta del pelo, ovvero la parte distale di ciascuna scaglia poggia sulla parte prossimale di quella successiva.

Il pelo animale può presentare svariati tipi di cuticola: la forma e la disposizione delle scaglie cuticolari sono uno dei rilievi principali che aiutano nell’identificazione del gruppo tassonomico di appartenenza. La grandezza e la forma delle scaglie variano, oltre che con la specie animale, anche in base alla loro posizione nel pelo: esse si dispongono secondo diversi modelli (pattern cuticolari) che si succedono dalla base alla punta del pelo. Il pattern cuticolare può essere osservato al microscopio ottico o elettronico.

Nel campo della microscopia ottica, generalmente, le scaglie sono di difficile o impossibile osservazione nei preparati in trasparenza, in quanto esse vengono nascoste dalle strutture e dai pigmenti interni al pelo stesso. Pertanto per esaminare la cuticola al microscopio ottico devono essere predisposte delle impronte cuticolari, cioè il disegno delle scaglie viene impresso su resine o altri substrati che ne consentono poi l’esame al microscopio ottico (Figura 2).

Figura 2: Pattern cuticolare esaminato al microscopio ottico, dopo impressione della cuticola del pelo su uno strato di smalto trasparente. Sopra: pelo di mustelide; sotto: pelo di lepre. Foto: Alessia Mariacher.

Le scaglie possono invece essere esaminate direttamente al microscopio elettronico a scansione, con altissima qualità delle immagini e senza necessità di effettuare stampi del pelo (Figura 3).

La corteccia è lo strato centrale tra cuticola e midollo ed è costituita da cellule corneificate di forma allungata che appaiono all’osservazione microscopica come una massa omogenea priva di caratteristiche distintive. I pigmenti che si trovano nella corteccia sono responsabili del colore dei peli e possono comparire sotto forma di piccoli granuli, grandi masse amorfe o colorazione diffusa. La corteccia è di scarso valore per l’identificazione della specie animale, ma può essere utile nel discriminare un campione di pelliccia tinto artificialmente.

La midollare occupa la parte centrale dei peli ed è composto da cellule frammiste a spazi pieni di aria. Le cellule e gli spazi d’aria tra di esse sono responsabili del caratteristico aspetto del midollo, che si rende visibile all’osservazione microscopica quando il pelo è montato con un mezzo liquido (ad esempio acqua o paraffina) che penetra negli spazi d’aria. Ad un’osservazione diretta del pelo il midollo appare invece generalmente come una struttura opaca e indefinita, soprattutto in certi gruppi di animali, come i Carnivori (Figura 4).

Figura 3: Pattern cuticolare esaminato al microscopio elettronico a scansione, con misurazioni delle scaglie. Pelo di cervo. Foto: Alessia Mariacher

L’analisi morfologica del pelo viene effettuata a livello macroscopico (sia a occhio nudo che con l’ausilio di un microscopio stereoscopico) e microscopico (microscopia ottica e microscopia elettronica a scansione, SEM).

 

I risultati che possono essere raggiunti con questo tipo di analisi sono sostanzialmente tre:

1) in presenza di una fibra di natura sconosciuta, si può effettuare la distinzione tra una fibra di origine animale e fibre di altra natura (vegetali o sintetiche),

2) in presenza di una fibra di natura animale, si può effettuare la distinzione tra pelo animale e pelo umano,

3) in presenza di pelo di animale infine si può effettuare l’identificazione tassonomica, anche nota come MIAH: Morphological Identification of Animal Hairs.

 

Figura 4: Pattern midollare esaminato al microscopio ottico. Sopra: pelo di capriolo; sotto: pelo di coniglio. Foto: Alessia Mariacher

L’analisi dei peli nelle scienze forensi

L’analisi di campioni di pelo a scopo forense è una pratica di indubbia importanza in caso di crimini contro la persona. In questo contesto il pelo ed i capelli sono considerati come class evidence, ovvero prove che riconducono ad un gruppo di soggetti che condividono le medesime caratteristiche. Nel caso sia presente il follicolo pilifero, e possano quindi essere condotte indagini genetiche, il pelo può anche costituire individual evidence, ovvero consentire l’identificazione di un singolo soggetto.

In ambito forense è anche importante sottolineare come il pelo possa facilmente essere trasferito per contatto tra animali, persone e superfici. Si identifica un trasferimento primario (primary transfer) quando il pelo è trasferito per contatto direttamente da un soggetto ad un altro, ed invece un trasferimento secondario (secondary transfer) quando il pelo passa da un soggetto ad una superficie, dalla quale viene poi trasferito ad un secondo soggetto. Il pelo animale, ad esempio, è particolarmente soggetto al trasferimento di tipo secondario. Questo tipo di prova può essere utilizzato ad esempio per stabilire dei collegamenti fra aggressore, vittima e scena del crimine, sia in campo umano che animale. Esemplare è il caso che, nel 1994, ha coinvolto il gatto “Palla di Neve” nella risoluzione di un omicidio. L’identificazione individuale dei suoi peli tramite il test del DNA ha permesso infatti di assicurare alla giustizia il colpevole dell’assassinio di una donna, collegandolo in maniera indiscutibile alla scena del crimine.

Le analisi che possono essere condotte sul pelo rientrano in 3 categorie principali, spesso complementari tra loro:

  1. analisi fisiche: esame macroscopico e microscopico, volto a descrivere le caratteristiche salienti del campione di pelo e a paragonarlo con collezioni di riferimento,
  2. analisi chimiche: utilizzate per la ricerca nel pelo di tracce di droghe, tossine o metalli; oppure spettrometria di massa MALDI-TOF per l’identificazione della famiglia, del genere e, in particolari casi, della specie,
  3. analisi genetiche: basate sull’estrazione del DNA dal follicolo del pelo, possono consentire un’identificazione specifica ed individuale se associate al confronto dei dati ottenuti da un pelo incognito con campioni noti e database di riferimento.

L’identificazione della specie di appartenenza del pelo, storicamente impiegata per il monitoraggio dei grandi carnivori in ambito zoologico, è oggi essenziale in campo veterinario forense per identificare l’origine di quei prodotti il cui commercio sia regolamentato o proibito (ad esempio pellicce), ma anche in casi di bracconaggio, di predazione o in generale di reati ai danni degli animali.

L’analisi morfologica del pelo risulta un metodo rapido ed efficace per lo screening e la determinazione di appartenenza ad ampi gruppi tassonomici (ad esempio le Famiglie). Per raggiungere un livello di identificazione a livello di specie animale tale analisi può essere affiancata da metodiche analitiche più sensibili ma costose, quali quelle molecolari oppure di spettrometria di massa.

 

Un approccio combinato per l’identificazione delle pellicce animali

Il Regolamento (CE) n. 1523\2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007, in applicazione dal 31 dicembre 2008, vieta la commercializzazione, l’importazione nella Comunità e l’esportazione dalla Comunità di pellicce di cane e di gatto e di prodotti che le contengono. Poiché la maggior parte delle pellicce di cane e gatto proviene da paesi terzi (generalmente dal mercato asiatico), l’obiettivo primario del Regolamento UE è quello di impedire l’ingresso di importazioni commerciali illegali di tali prodotti da paesi terzi.

L’Italia, con norma nazionale (Parlamento Italiano, legge 20 luglio 2004, n. 189), aveva già adottato disposizioni che stabilivano il divieto di commercializzazione e produzione nel territorio nazionale di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articoli di pelletteria costituiti o ottenuti in tutto o in parte da pelli o pellicce di cani e gatti. In caso di violazione di tali disposizioni, la norma aveva previsto sanzioni penali, nonché la confisca e la distruzione dei prodotti stessi.

L’applicazione e l’efficacia del Regolamento europeo e della Legge 189/2004 dipendono pertanto dalla possibilità di condurre analisi affidabili e ripetibili per identificare la presenza di peli di cane e gatto nelle pellicce. In particolare è necessario disporre di una metodica in grado di distinguere le pellicce e le pelli di cane e gatto da quelle confezionate con specie di cui è legalmente consentito l’utilizzo.

A questo scopo è stata recentemente pubblicata la proposta di un metodo combinato, sviluppato dal Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lazio e Toscana (CeMedForVet, http://www.izslt.it/medicinaforense/) nell’ambito del progetto di ricerca corrente IZSLT 1311 finanziato dal Ministero della Salute.

Il Regolamento CE 1523/2007 prevedeva l’impiego di tre metodiche analitiche alternative per l’identificazione delle pellicce di cane e gatto: l’analisi molecolare (ovvero il/i test del DNA), la microscopia (l’analisi morfologica del pelo) e la spettrometria di massa MALDI-TOF (l’analisi chimica delle cheratine che costituiscono il pelo). Al momento dell’emanazione del Regolamento non erano però disponibili dei protocolli di identificazione delle pellicce standardizzati per queste due specie e condivisi dai diversi paesi europei, nonché dalla comunità scientifica internazionale.

La distinzione delle pellicce di cane e gatto da quelle di altri animali simili morfologicamente e/o geneticamente è piuttosto difficoltosa e i motivi sono di natura sia biologica che tecnica. Risulta infatti problematico distinguere alcune specie appartenenti alla stessa Famiglia (cioè all’interno dei canidi e dei felidi), ed il cui utilizzo per il confezionamento di pellicce è invece permesso dalla legge (come ad esempio la volpe o il cane procione).

Nel corso del progetto di ricerca, è stata messa a punto una procedura che evidenzia la presenza di cane e gatto in campioni di pelli e pellicce attraverso l’applicazione combinata di due delle tre metodiche ufficiali previste dal Regolamento, ossia l’esame microscopico del pelo e l’analisi molecolare del DNA. Il workflow consiste in due fasi. Inizialmente viene effettuata la preselezione dei campioni su base morfologica microscopica, tesa a determinare l’origine artificiale o naturale del pelo e, successivamente, nel caso di pelo naturale, ad identificare le specie che non hanno caratteristiche del pelo compatibili con canidi o felidi (ad esempio il coniglio o il visone). Questa prima fase di screening morfologico serve per escludere dalle successive analisi molecolari quei campioni che già possono essere identificati al microscopio, con un notevole risparmio in termini di tempo e di costi.

La seconda fase del protocollo consiste nell’analisi del DNA (Figura 5) dei soli campioni compatibili con l’appartenenza alle famiglie Canidae o Felidae, dei quali viene effettuata la determinazione della specie su base molecolare. In particolare, la messa a punto dei test molecolari ha riguardato sia i metodi di estrazione del DNA dai prodotti della concia, sia il disegno di marcatori genetici (di screening e di conferma) per l’identificazione delle specie di canidi e felidi, compresi cane e gatto. Gli stessi marcatori potrebbero essere impiegati in futuro anche per l’identificazione di alcune specie selvatiche di canidi o felidi, qualora il divieto di commercializzazione di pellicce venisse esteso ad altre specie.

 

Figura 5: Analisi del DNA a partire da un campione di pelliccia. Foto: Luisa Garofalo

I risultati dell’analisi combinata morfologica e molecolare su 25 campioni di campo hanno

dimostrato che il protocollo proposto in questo progetto si è mostrato risolutivo in 21 campioni (quindi nell’84% dei casi).

In conclusione, i principali vantaggi nell’utilizzare questo approccio combinato, sono:

  1. la possibilità di condurre un primo screening morfologico rapido ed economico attraverso l’utilizzo del microscopio ottico, procedendo all’analisi genetica solo per i campioni compatibili con cane e gatto, escludendo le pellicce artificiali e quelle con caratteristiche morfologiche sicuramente riconducibili ad altre specie o ad altri gruppi tassonomici;
  2. la disponibilità di test molecolari sensibili e ad alto potere discriminativo per l’identificazione di specie di canidi e felidi, ideati appositamente per evitare il DNA umano che usualmente contamina per contatto le pellicce e che avrebbe potuto interferire con le analisi.

Le pubblicazioni riguardanti il metodo descritto (e la relativa bibliografia di riferimento) sono disponibili in modalità Open Access ai seguenti link:

Per la parte morfologica:

Mariacher A, Garofalo L, Fanelli R, Lorenzini R, Fico R. 2019. A combined morphological and molecular approach for hair identification to comply with the European ban on dog and cat fur trade. PeerJ 7:e7955. https://peerj.com/articles/7955/?td=wk

Per la parte genetica:

Garofalo L, Mariacher A, Fanelli R, Fico R, Lorenzini R. 2018. Hindering the illegal trade in dog and cat furs through a DNA-based protocol for species identification. PeerJ 6:e4902 https://peerj.com/articles/4902/?td=wk

 

 

Riferimenti normativi:

  • Parlamento Italiano. Legge n.189/04. Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate. Gazzetta Ufficiale n. 178 del 31 luglio 2004. http://www.camera.it/parlam/leggi/04189l.htm
  • European Commission. 2013. Report from the Commission to the European Parliament and the Council on the application of Regulation (EC) No 1523/2007 banning the placing on the market and the import to, or export from, the Community of cat and dog fur and products containing such fur.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52013DC0412

  • European Parliament. 2007. Regulation (EC) No 1523/2007 of the European Parliament and of the Council of 11 December 2007 banning the placing on the market and the import to, or export from, the Community of cat and dog fur, and products containing such fur.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/ALL/?uri=CELEX%3A32007R1523

Letture di approfondimento:

California:https://www.adnkronos.com/sostenibilita/tendenze/2019/10/14/california-fur-free-dal-stop-alle-pellicce_0Y1fCPqDwriwG9BNzr9eRI.html

Norvegia:https://www.dyrevern.no/english/breaking-news-norway-bans-fur-farming

NESSUNO TOCCHI IL CADAVERE: CHIAMIAMO IL VETERINARIO FORENSE!

di Rosario FICO1,2 Alessia MARIACHER1

alessia.mariacher@izslt.it
rosario.fico@izslt.it
1Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, sezione di Grosseto
Viale Europa, 30 58100 Grosseto
2Responsabile Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria

 

“Ad un primo esame esterno si esclude che l’animale sia stato ucciso da un’arma da fuoco”, “Il corpo non presentava segni di traumi”, “Sicuramente investito”… ma siamo sicuri?

Frequentemente, in occasione del ritrovamento di un esemplare di fauna selvatica morto, specialmente se si tratta di specie dal grande impatto mediatico (lupi, orsi, grandi avvoltoi) i primi intervenuti cadono nella trappola di rilasciare dichiarazioni basate sulle prime impressioni percepite.

 

Cadavere di un lupo investito da un treno e ritrovato fra i binari. L’animale è poi risultato anche avvelenato da fosfuro di zinco, seppure la causa finale della morte sia stata il trauma legato all’impatto col convoglio

Che si tratti del turista che ha trovato l’animale, dell’ufficiale di polizia che ha diretto il sopralluogo, del biologo in servizio in un’area protetta, o anche del veterinario chiamato sul campo perché unico reperibile in zona, quasi sempre da un sommario esame esterno del cadavere si giunge a trarre delle conclusioni facilmente sbagliate.

Un esame del cadavere sul campo infatti, essendo necessariamente approssimativo, non potrà mai consentire di giungere ad una appropriata e precisa determinazione della causa di morte (ovvero l’identificazione dell’agente o azione lesiva o tossica che ha portato a morte l’animale, ad esempio ‘colpo d’arma da fuoco’, ‘avvelenamento’, ‘soffocamento’, ecc.), né del meccanismo della morte (ovvero il processo che ha effettivamente determinato il decesso dell’animale, ad esempio emorragia conseguente a rottura cardiaca per un colpo d’arma da fuoco, oppure contusione cerebrale causata da un trauma, ecc.).

 

La piccola lesione al centro della fronte di questo lupo, è la ferita di ingresso di un colpo d’arma da fuoco letale. L’animale però aveva anche ingerito un boccone avvelenato

Tantomeno sarà possibile la ricostruzione della dinamica dell’evento, che è poi quello che interessa agli investigatori per l’inizio delle indagini. Nel campo della Medicina Veterinaria Forense è indispensabile, inoltre, individuare tutti quegli elementi che possono aver contribuito alla morte dell’animale pur non essendone direttamente la causa (nel gergo veterinario forense si parla di distinzione fra ‘animale morto per o morto con’): ad esempio, un lupo ucciso con un colpo da arma da fuoco, potrebbe essere stato preventivamente catturato con un laccio, oppure potrebbe aver ingerito dei bocconi avvelenati che lo hanno debilitato.

Per poter chiarire tutti questi aspetti è necessario operare in una adeguata sala autoptica, dove le condizioni di lavoro sono ottimali sia per gli aspetti tecnici (illuminazione, spazi, strumentazione), sia per quelli sanitari (prevenzione del rischio di diffusione o trasmissione di malattie infettive, sicurezza degli operatori). Un altro elemento che concorre ad escludere la possibilità di effettuare una necroscopia a scopo forense sul campo è che eseguire un esame autoptico accurato può impegnare l’anatomo-patologo per svariate ore e, in alcuni dei casi più complessi, anche per dei giorni.

L’esame da eseguire sulla carcassa non può limitarsi ad una sommaria ispezione esterna (unica attività eseguibile sul campo, e come detto fonte di informazioni assolutamente parziali e fuorvianti), ma deve consistere in una vera e propria autopsia forense, che solo veterinari appositamente formati possono e sanno eseguire. L’autopsia forense (con le tecniche correlate) richiede infatti particolari e complesse impostazioni tecnico-organizzative e deve attenersi a precisi standard procedurali. Fra le peculiarità richieste dall’autopsia forense vi sono ad esempio la necessità di documentare fotograficamente e con riferimento metrico tutti i rilievi, l’obbligo di esaminare tutti i distretti e cavità corporei (comprendendo ad esempio l’apertura del cranio), inoltre il cadavere va scuoiato interamente, senza tralasciare alcun distretto, perché molte delle lesioni di interesse forense possono ‘nascondersi’ proprio nel sottocute o nei muscoli pellicciai dell’animale.

 

Un orso marsicano morto nel 2014. Questa foto rappresenta il momento del ritrovamento, a seguito del quale venne dichiarato alla stampa che si escludevano ferite da arma da fuoco e probabilmente il soggetto era stato avvelenato, perché esternamente non si vedevano lesioni. La folta pelliccia dell’animale nascondeva in realtà svariate ferite da arma da fuoco, di cui alcune risultate letali

Addirittura in alcuni casi, oltre allo scuoiamento, è necessario ricorrere alla rasatura del corpo, per poter evidenziare anche le più minute lesioni a livello cutaneo. Se nel corso dell’autopsia si riscontrano, nel o sul cadavere, elementi di prova quali proiettili, lacci, corpi estranei, sospette sostanze tossiche, ogni elemento va adeguatamente raccolto e preservato per ulteriori analisi.

Sono di recente pubblicazione, sotto l’egida del Ministero della Salute, le “Linee Guida nazionali per le autopsie a scopo forense in medicina veterinariahttp://www.izslt.it/medicinaforense/linee-guida-e-manuali/, cui si rimanda per i dettagli sulle finalità e modalità di esecuzione di questo complesso e specialistico esame.

 

Il cadavere di un lupo viene inviato con il sospetto di lesioni da arma da fuoco… ma stavolta si tratta di morsi

Quando si sia in presenza di un esemplare di fauna selvatica morto, anche di fronte ad uno scenario apparentemente ‘chiaro’ (come nelle foto qui proposte), è pertanto necessario non affrettarsi alle conclusioni, ma attendere il responso di tutte le analisi condotte da veterinari esperti in strutture adeguatamente attrezzate e con l’ausilio di Laboratori specializzati. I colpi d’arma da fuoco possono essere nascosti dalla fitta della pelliccia, deformati e ampliati dall’entomofauna cadaverica, i veleni possono essere visibili solo nel fondo dello stomaco, e tante piccole fonti di prova presenti sul e nel corpo dell’animale aspettano solo di essere trovate… da chi le sa vedere.

I SOLITI SOSPETTI… OPPURE NO?

di Alessia MARIACHER1 Rosario FICO1,2

alessia.mariacher@izslt.it
rosario.fico@izslt.it
1Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, sezione di Grosseto
Viale Europa, 30 58100 Grosseto
2Responsabile Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria

 

“Cane sbranato dai lupi!”, così hanno titolato molti giornali negli ultimi anni, dando eco a una diffusa preoccupazione dei proprietari di cani che vivono in zone recentemente ricolonizzate dal lupo.
Ma quante volte questo grido di allarme è stato giustificato, e quante invece si è trattato solo di una ricerca al… lupo espiatorio?

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