Primi dati sullo sciacallo dorato Canis aureus in Lazio

di Mario Fortebraccio e Sonia Aleotti

 

 

I fatti

Nel corso di un piano di monitoraggio svolto per conto dell’Ente Parco Nazionale del Circeo nell’ambito dell’Azione di Sistema tra i Parchi Nazionali “Conservazione della lepre italica (Lepus corsicanus)” finanziata dal Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare con apposite direttive per le attività dirette alla conservazione della biodiversità (www.parcocirceo.it), è stato possibile raccogliere le prime testimonianze relative alla presenza di Canis aureus in Lazio.

Il materiale video e fotografico è di ottima qualità e consente di riconoscere la specie con assoluta certezza (cfr. Canis aureus news, 2022) (figg. 1, 2, 3, 4, 5).

I reperti video sono stati ottenuti in Lazio, loc. Rio Cassano, nel Parco Nazionale del Circeo, Foresta Demaniale del Circeo, Sabaudia (LT) in un bosco planiziale a Quercus cerris e Q. frainetto, 26 m s.l.m., 4581799.29 m N, 335194.56 m E, dal 6 al 21 maggio 2020. Si trattava apparentemente di un esemplare isolato, filmato con fototrappola Cuddeback C2.

La ripresa costituisce la prima segnalazione assoluta per il Lazio e non è più stata ripetuta.

La cosa ha comunque un certo rilievo conservazionistico poiché lo sciacallo dorato è inserito nell’allegato V della direttiva 92/43 CEE e nell’appendice III della CITES, e a livello nazionale risulta specie protetta ai sensi dell’articolo 2, comma 1 della Legge 157/92.

 

Considerazioni preliminari

Canis aureus è distribuito in Europa e Asia (a Sud fino ad Israele). In Italia la presenza della specie è stata accertata per la prima volta nei primi anni ‘80, in Veneto e Friuli-Venezia Giulia (Spagnesi & De Marinis, 2002) e la conferma della prima riproduzione risale al 1985 in Friuli-Venezia Giulia (Lapini et al., 1993; Lapini & Perco, 1988 e 1989). Lo sciacallo dorato è in seguito stato osservato in gran parte dell’Italia settentrionale, in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Lombardia ed Emilia-Romagna (Lapini et al., 2018). La specie è del resto in forte espansione in tutta Europa; nel 2020 è stata documentata la sua presenza anche in Piemonte e più recentemente si è riprodotta in Trentino-Alto Adige e in Emilia-Romagna (Lapini et al., 2021). Le ultime segnalazioni riguardano Montemurlo, Cava Volpaie (PO) a novembre 2021 (Bacci & Lunghi, 2022) e più recentemente Calderara di Reno (BO), primo dato certo per la provincia di Bologna (Canis aureus news).

La presente segnalazione attesta la presenza della specie in Italia centrale, circa 300 km più a Sud del reperto toscano della Provincia di Prato (Bacci & Lunghi, 2022).

L’osservazione è stata ottenuta a seguito dell’attività di fototrappolaggio condotta nel 2020 e 2021 all’interno del ZSC IT6040014 “Foresta Demaniale del Circeo”, all’interno del Parco Nazionale del Circeo. La Foresta Demaniale, situata nella porzione nord-orientale della ZPS IT6040015 “Parco Nazionale del Circeo”, è un bosco planiziale di circa 3.007 ha. Essa mantiene molte peculiarità dell’antica foresta costiera “Selva di Terracina” che, prima della bonifica degli Anni Trenta, occupava oltre 11.000 ettari.

Visto il valore conservazionistico di questa specie di interesse comunitario in forte espansione, il Parco effettuerà presto approfondimenti bio-acustici sulla situazione della specie all’interno dell’area protetta, che per le sue caratteristiche pare estremamente vocata per questo piccolo canide.

 

Bibliografia citata

Bacci F., Lunghi E. (2022). Golden jackal on Tuscan Apennine: range expansion or wandering individuals? Natural History Sciences, submitted;

Canis aureus newshttps://drive.google.com/drive/folders/1slP3zPaF2L7me7pamP28nUTnxHo98QtS

Hatlauf J., Banea O., Lapini L., 2016 – Assessment of golden jackal species (Canis aureus, L.1758) records in natural areas out of their known historic range. Book. DOI:10.13140/RG.2.1.1429.2243.

Lapini L., Perco Fa., 1988. Primi dati sullo sciacallo dorato (Canis aureus L.,1758), in Italia (Mammalia, Carnivora, Canidae). Atti del I Conv. Naz. Biol. Selvag., Suppl. Ric. Biol. Selvag., 14: 627-628.

Lapini L., Perco Fa., 1989. Lo sciacallo dorato (Canis aureus L.,1758), specie nuova per la fauna italiana (Mammalia, Carnivora, Canidae). Gortania-Atti Museo Friul. Storia Nat., 10(88): 213-228.

Lapini L., Perco Fa., Benussi E., 1993 – Nuovi dati sullo sciacallo dorato (Canis aureus L.,1758) in Italia (Mammalia, Carnivora, Canidae). Gortania-Atti Museo Friul. Storia Nat., 14(92): 233- 240.

Lapini L., Dreon A.L., Caldana M., Luca M., Villa M., 2018 – Distribuzione, espansione e problemi di conservazione di Canis aureus in Italia (Carnivora: Canidae). Quaderni del Museo Civico di StoriaNaturale di Ferrara, 6: 89-96.

Lapini L., Pecorella S., Ferri M. & Villa M., 2021. Panoramica aggiornata delle conoscenze su Canis aureus in Italia. Quaderni del Museo Civico di Storia Naturale di Ferrara, 9 (2021): 123-132.

Spagnesi M. & De Marinis A.M. (a cura di), 2002 – Mammiferi d’Italia. Quad. Cons. Natura, 14, Min. Ambiente – Ist. Naz. Fauna Selvatica, Savignano sul Panaro (MO): 215-217.

 

 

 

 

Fig.1. Foto da camera trapping ottenuta in loc. Rio Cassano il 6/05/2020

 

Fig.2 Foto da camera trapping ottenuta in loc. Rio Cassano il 8/05/2020

 

 

Fig.3 . Foto da camera trapping ottenuta in loc. Rio Cassano il 10/05/2020

 

 

Fig.4 Foto da camera trapping ottenuta in loc. Rio Cassano il 12/05/2020

 

 

Fig.5 Foto da camera trapping ottenuta in loc. Rio Cassano il 15/05/2020

 

Indirizzi degli Autori

Mario Fortebraccio, Sonia Aleotti, Ufficio Naturalistico Biodiversità e Fauna PN Circeo
Dott. Mario Fortebraccio, Freelance – Potenza – Italia
E-mail: fortebraccio.mario@gmail.com; aleottisonia1@gmail.com; conservazione@parcocirceo.it

 

 

L’immagine del lupo: istruzioni per costruire la bestia

di Mauro FATTOR

Caporedattore della Redazione Culturale del quotidiano “Alto Adige” di Bolzano

 

Decidere di intervenire in modo puntuale su un lupo confidente è un fatto gestionale. Persino decidere di eliminare 200 orsi e 11 lupi, come sta facendo il governo sloveno, è un fatto gestionale.

Il riferimento è sempre la sostenibilità del prelievo rispetto alla situazione delle due specie in un determinato contesto. Decidere invece di costruire, e offrire all’opinione pubblica, l’immagine del lupo come Animale sanguinario, come “belva”, è un fatto culturale.

Questa è la strada prevalente oggi in Alto Adige. Una strada che recupera e rilancia stereotipi medioevali sul lupo – dunque prescientifici – e che lo fa in larga misura attraverso un uso spregiudicato delle immagini. Una scelta questa moderna, anzi modernissima in epoca di comunicazione visuale.

Una scelta che ha un solo obiettivo: sovrastare l’opinione pubblica sul piano emotivo sopperendo da una parte alla relativa povertà di contenuti e dall’altra “impedendo” l’esercizio del pensiero critico rispetto alla presenza dei grandi predatori. Da questo punto di vista, il fascicolo sul lupo pubblicato dal Bauernbund – l’Associazione dei contadini altoatesini –  il 13 luglio scorso e distribuito con il  principale quotidiano di lingua tedesca della provincia, il “Dolomiten”, rappresenta un punto di non ritorno. Diciotto delle 32 pagine sono infatti occupate da pure e semplici immagini di animali – pecore, capre, vitelli, cavalli – predati dal lupo con reiterata ostentazione di budella, sangue, sventramenti, mutilazioni e carcasse.

Una nuance pulp, per dirla alla Tarantino, che punta alla colpevolizzazione, sul piano etico, del lupo e al conseguente disimpegno morale dell’opinione pubblica rispetto a ragionamenti appena più sofisticati e complessi di tutela e responsabilità nella gestione degli ecosistemi. Perchè dopo il Medioevo c’è stato Superquark, questo è il problema. Questo significa che per portare l’opinione pubblica ad odiare il lupo bisogna procedere ad una ristrutturazione cognitiva della sua immagine.

Può sembrare bizzarro, ma il lupo va “disumanizzato”, nel senso che va chiuso qualsiasi canale empatico. I grandi predatori, sin dall’antichità sono portatori di metafore complesse in cui bene e male coabitano. Basti pensare all’araldica dove lupi e orsi sono presenti a profusione, oppure agli animali totemici dove, ancora, il lupo la fa da padrone, o al mito della fondazione di Roma con la lupa che allatta i gemelli. Presso i Greci il lupo era sacro ad Apollo come lo era a Marte nel mondo latino. Lo stesso nel mondo germano-nordico dove Odino e lupo sono quasi sinonimi.

In aggiunta a questo poi è arrivata la scienza, l’attenzione all’ecologia, uno sguardo più obiettivo sui rapporti predatori-prede. Serve dunque un’operazione che cancelli tutto il positivo e che lasci solo il negativo, che tolga il terreno sotto i piedi a ogni possibile empatia, diretta o culturalmente ereditata. Il lupo deve essere “radicalmente altro”, tra uomini e predatori va creata una distanza incolmabile. Va detto che disumanizzazione, colpevolizzazione e conseguente disimpegno morale, sono tappe necessarie e imprescindibili nella costruzione del Nemico. Di un qualsiasi nemico, a qualsiasi latitudine. Ad un diverso livello, sono esattamente gli stessi meccanismi che hanno operato nella Germania hitleriana rispetto alla figura dell’ebreo, o negli Stati Uniti nella rappresentazione del nemico giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale.

A questo va aggiunto un ulteriore elemento: l’individuazione di un fine superiore, che nel caso dei nazisti era la difesa della razza, negli Stati Uniti la difesa della nazione, e nel caso del lupo in Alto Adige è la difesa dell’agricoltura tradizionale o, più semplicemente della Tradizione, percepita come elemento privo di dinamismo, esattamente come la nazione o la razza: eterne e immutabili. Una valore a priori. L’immagine del lupo veicolata oggi dal radicalismo della parte più conservatrice, se non reazionaria, della società altoatesina ci arriva direttamente dal Medioevo (non dall’Antichità, dove il rapporto con questo predatore è sempre stato in chiaroscuro).

Il lupo dei bestiari medioevali è un animale che ama il male fine a se stesso; quando cattura un agnello o un vitello, li tortura prima di farli a pezzi e divorarli: è l’immagine stessa del diavolo che tormenta gli uomini e i monaci prima di precipitarli nel baratro infernale. Feroce e crudele, il lupo ammazza sempre più prede di quante gliene servano per nutrirsi; in questo ricorda i potenti baroni feudali che per pura cupidigia spogliano i contadini di tutto quanto possiedono, pur non avendo bisogno di niente. Per raccontare tutto questo oggi, per riportare in vita questo immaginario, si utilizzano le istantanee cruente delle predazioni, e più cruente sono meglio è.

L’ostentazione strumentale dell’evento predatorio naturale realizza un’iconografia funzionale alla costruzione di una narrazione che deve sostituirsi al ragionamento e all’analisi dei problemi. Che parli alla pancia e non alla testa, che alimenti la paura. Ora, tutto questo se restasse confinato al caso del lupo potrebbe apparire tragicamente folkloristico, ma non è così.

Questo tipo di comunicazione strumentale agisce infatti attraverso gli stessi meccanismi di suggestione che oggi inondano il web e che determinano gli orientamenti dell’opinione pubblica, per esempio sulla questione migranti. La rappresentazione plastica di questo teorema ha avuto la sua più recente celebrazione a Villandro – paesino della Val d’Isarco, sempre in Alto Adige –  dove sopra uno dei grandi tabelloni che inneggiano ad un Sudtirolo libero da lupi (“Proteggete i vostri bambini!”) con l’immagine di un predatore che mostra i canini in atteggiamento terrifico, è stato incollato da ignoti un secondo manifesto con una ragazza bianca terrorizzata o infastidita, nauseata al punto da tapparsi il naso, avvicinata in maniera molesta da un ragazzo di colore, il tutto all’insegna del motto “Difendiamoci da lupi e neri”. Dunque il primo no è propedeutico al secondo, con una linea di continuità di cui si accorgerebbe anche un cieco e che sta diventando un tratto strutturale di ampi segmenti delle nostre società.

Ad inquietare ancor più di questo, dovrebbe essere poi il fatto che nessuno fino ad oggi, tra i partiti cosiddetti progressisti, ad esempio, abbia avuto la lungimiranza, la prontezza e la capacità di contrastare e contestare questo modo di agire, questo micidiale meccanismo “culturale” di costruzione del consenso che un pezzo alla volta sta intossicando la politica e i processi decisionali, sdoganando un uso sguaiato e violento del linguaggio e delle immagini  finendo con il legittimare azioni  illegali o fino a poco tempo socialmente riprovevoli.

E forse non è un caso che in Tirolo, dove il fronte rurale utilizza gli stessi argomenti largamente abusati anche a sud del Brennero, proprio i primi giorni di agosto a Sellrain, nel comprensorio di Innsbruck – dove i lupi si contano sulle dita di mezza mano – sia stata trovata nel bosco la carcassa di un lupo ucciso e decapitato. La Belva finalmente giustiziata.